Gli impianti di videosorveglianza

L’installazione di un impianto di videosorveglianza in un edificio, sia esso condominio o meno, ha l’innegabile scopo di fornire maggiore sicurezza a chi vi abita. Questa esigenza è sempre più sentita nella vita moderna.
La novella ha previsto questa facoltà per il condominio.
L’art. 1122ter c.c., rubricato “Impianti di video-sorveglianza di utilità comune” è stato introdotto ex novo dalla riforma. La norma così recita: “Le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136.”
E’ stato pertanto riconosciuto il diritto per il condominio di decidere di avere questi impianti di sicurezza, sempreché la decisione sia assunta dalla maggioranza degli intervenuti alla riunione rappresentanti almeno la metà del valore dell’intero stabile.
Gli impianti comuni possono essere posizionati solo nei luoghi facenti parte della proprietà collettiva e non di quella di un singolo abitante dell’edificio. Questa precisazione è corretta non potendo l’assemblea limitare il diritto di proprietà che ogni condomino ha sul suo alloggio o su altre parti comunque di diritto dominicale esclusivo.
Prima dell’introduzione di questa disposizione, la giurisprudenza era di avviso contrario. Si riteneva che gli interventi in questione non rientrassero nei poteri dell’assemblea, in quanto l’impianto volto alla sicurezza dello stabile non si qualifica come prestazione finalizzata a servire beni in comunione (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010).
I limiti che venivano considerati insuperabili attengono ai diritti individuali costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla riservatezza, alla libertà personale e alla protezione di dati personali
La normativa in materia di tutela dei dati personali, soprattutto per quanto concerne la videosorveglianza, è stata oggetto di diverse segnalazioni da parte del Garante per la protezione dei dati personali al Governo ed al Parlamento. Questi interpelli erano volti a manifestare l’opportunità di un intervento legislativo in quanto il dato normativo è stato assolutamente assente sino ad oggi.
Il primo provvedimento dell’Autority è del 29 novembre 2000 in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 31019, nel quale si impartivano prime prescrizioni “nell’attesa di una specifica legislazione”. La seconda determinazione del Garante, più dettagliata in quanto volta a tener conto di variegate sollecitazioni provenienti dalle prassi applicative, è del 29 aprile 2004, doc. web n. 1003482; mentre l’ultimo, è dell’ 8 aprile del 2010. doc. web. n. 1712680 Nella relazione del 2004, depositata il 9 febbraio 2005, il Garante evidenzia chiaramente che, avendo in questi casi la ripresa finalità “private”, non può farsi riferimento al Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). Alla luce dei documenti internazionali e comunitari, sottolinea l’importanza del “decalogo” sulla videosorveglianza steso dalle Autorità a garanzia dei cittadini. Gli interventi non sono mancati in sede comunitaria ed internazionale. Si veda, in particolare, il parere n. 4/2004 dell’11 febbraio 2004 fornito dai Garanti europei, nonché le linee guida espresse dal Consiglio d’Europa il 20-23 maggio 2003. Con la segnalazione del 13 maggio 2008, ribadita nel Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell’8 aprile 2010, l’Autorità garante italiana ha evidenziato che la disciplina del condominio non consente di identificare i soggetti legittimati a esprimere la propria opinione sul tema su cui l’assemblea vorrebbe deliberare. In astratto, potrebbero vantare questo diritto sia i titolari di diritti reali, sia i titolari di diritti personali concernenti le porzioni solitarie comprese nel fabbricato, sia ancora coloro che frequentano abitualmente l’edificio, come coloro che vi lavorano o simili. Poiché le telecamere sono su luoghi condominiali e riprendono parti dell’edificio di accesso comune, la decisione dell’installazione non è una precipua attribuzione del condominio, estendendosi anche a terzi soggetti, estranei all’edificio. La questione si sposta quindi su chi è il reale titolare del trattamento dei dati che vengono ripresi con la telecamera. Il Garante sottolinea che è necessario trovare un giusto equilibrio fra l’esigenza di garantire la sicurezza degli edifici e quella di tutelare la privacy dei soggetti che vi hanno accesso.
Gli impianti di videosorveglianza devono rispettare il principio della proporzionalità fra i mezzi usati e gli obiettivi da perseguire. A parere dell’Autorità, le postazioni delle apparecchiature devono essere opportunamente segnalate con cartelli (art. 13 del codice della privacy, d.lgs. n.196 del 2003) e le immagini oggetto di registrazione devono essere trattate secondo le norme vigenti sulla privacy, pertanto non possono essere né comunicate né diffuse.
Quanto detto è desumibile chiaramente dallo scopo della videosorveglianza. La sua finalità è identificare le persone attraverso le immagini che vengono registrate nei casi in cui tale attività di identificazione sia ritenuta necessaria da parte dello stesso titolare.
Mentre è considerato lecito l’impianto di videosorveglianza posizionato da un singolo condomino nel pianerottolo comune che consente la sola diretta osservazione della porta di accesso al proprio alloggio e dell’area antistante (Trib. Milano, 6 aprile 1992 in Arch. Locazioni, 1992, 823), così non è per l’ambito della parti comuni del condominio.
Sino a oggi, la giurisprudenza ha escluso che l’assemblea dell’edificio sia il reale titolare del trattamento dei dati, stante il carattere maggioritario della deliberazione e l’impossibilità che le riprese concernano i soli condomini. La conclusione che viene tratta da tutte le decisioni che si sono espresse sull’argomento è che l’oggetto di una siffatta deliberazione non rientra nei compiti dell’assemblea condominiale. Lo scopo della tutela dell’incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l’impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell’organo assembleare. Non giova rilevare che da questa decisione del condominio consegue una maggior sicurezza essendo indubbi i fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro.
Il coinvolgimento, quale oggetto delle riprese, di terze persone implica il trattamento di dati personali di cui l’assembla stessa non può essere titolare. In ragione di questa osservazione, la relativa deliberazione è volta ad uno scopo estraneo alle esigenze dell’edificio, come tale non rientrante nei poteri dell’assemblea (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010; Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273). Si tratta di un comportamento che viola il diritto alla riservatezza dei condomini in cui manca il requisito della proporzionalità: per la sicurezza di uno, il danno ai tanti (Trib. Nola, sez. II civ., ord. 3 febbraio 2009).
A chiusura di questo ragionamento, si osserva che l’installazione della videosorveglianza non è di per sé prestazione finalizzata a servire i beni in comunione. Si tratta di una questione diretta a perseguire finalità estranee alla conservazione e alla gestione dei beni comuni.
La giurisprudenza menzionata ha osservato che la decisione in esame può essere validamente assunta con l’accordo di tutti i condomini. Essa, da un lato, esclude la titolarità dell’assemblea in tema di installazione della videosorveglianza in quanto la decisione è assunta solo a maggioranza, dall’altro, afferma che l’unanimità supera ogni ostacolo alla validità della deliberazione. In questo caso, “si perfeziona un consenso comune atto a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti”. (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010; Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273). Questa conclusione non pare condivisibile perché non tiene conto delle premesse del ragionamento esposto dalle medesime decisioni: se il contenuto delle riprese può interessare potenzialmente anche coloro che frequentano l’edificio per ragioni diverse dall’essere condomini, l’unanimità degli abitanti dell’edificio non è sufficiente. La titolarità del trattamento si estende anche ai terzi: anche questi dovrebbero esprimere l’assenso alla videocamera.
Anche se si esula dalla fattispecie di delitto di interferenza illecita nella vita privata, ai sensi dell’art. 615-bis c.p., non assumono rilievo le modalità di installazione del sistema di videosorveglianza nel senso di verificare se ciò che costituisce l’angolo visuale delle riprese è un luogo di pertinenza del solo condomini (ad esempio, cortili, pianerottoli, scale), non invadendo la sfera di proprietà individuale. Per portare un esempio, si pensi da un lato, al cortile del condominio e, dall’altro, alle zone antistanti l’ingresso delle singole abitazioni dell’edificio.
Pare di diversa opinione la giurisprudenza penale che ritiene lecite le apparecchiature posizionate all’esterno di un edificio quando hanno ad oggetto l’inquadramento di un cortile comune interno: questo luogo del condominio viene qualificato come esposto al pubblico e pertanto soggetto a visibilità (Cass. pen. n. 22602 del 2008). La motivazione della decisione penale è la seguente: “almeno in sede penale, la questione è stata risolta in senso affermativo. La Suprema Corte di Cassazione, infatti (Cass. pen. Sez. V, sentenza 21 ottobre – 26 novembre 2008, n. 44156 in Dir. Pen. e Processo, 2009, 9, 1125), ha affermato che “non commette il reato di cui all’articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini” specie se i condomini stessi siano “a conoscenza dell’esistenza delle telecamere” e possano “visionarne in ogni momento le riprese” (Cass. pen. n. 22602 del 2008; cfr. Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273).
Questo diverso orientamento si giustifica alla luce del fatto che i beni e le tutele sono in ambiti diversi. La giurisprudenza penale si colloca, sulla scia della decisione delle Sezioni Unite penali n. 26795 del 28 marzo 2006, nell’ambito della tutela della riservatezza, nello specifico quella domiciliare. La mancanza di reato ex art. 615-bis c.p. non rappresenta per ciò solo motivo di liceità della medesima condotta in sede civile (Trib. Nola, sez. II civ., ord. 3 febbraio 2009).
L’art. 615-bis c.p. (Cass. pen. 44156/2008) si occupa del domicilio e dell’art. 14 Cost., mentre la decisione del giudice civile, nei rapporti tra condomini, deve concernere il diritto inviolabile alla riservatezza, e quindi l’art. 2 Cost. (Cass. pen. 44156/2008). Sempre in quest’ambito la Corte costituzionale, con la decisione n. 149 del 2008, ha osservato che in mancanza di una norma che consenta e disciplini il compimento dell’attività di ripresa, l’attività dovrebbe ritenersi radicalmente vietata di per sè, perché lesiva dell’inviolabilità del domicilio, sancita dal primo comma dello stesso art. 14 Cost.
La novella non pare aver condiviso i precedenti in ambito civilistico, dando prevalenza all’interesse della sicurezza dell’edificio e dei loro abitanti. Rientra quindi nelle attribuzioni dell’assemblea la necessità di soddisfare l’esigenza diretta a preservare la sicurezza di persone a fronte di aggressioni, scippi, rapine e così via. E’ prerogativa dell’organo supremo dello stabile la conservazione dell’integrità lato sensu della collettività condominiale, compresi i beni e i servizi comuni. Questa competenza è prevista, in generale, in via conservativa in capo all’amministratore, con il riconoscimento del suo potere autonomo di porre in essere tutti gli atti conservativi del condominio ex art. 1130, n. 4 c.c.
E’ indubbia l’utilità di un incremento della sicurezza, grazie alla previsione del sistema di videosorveglianza negli edifici strutturati a condomini. Il valore della sicurezza dello stabile è primario per il legislatore della novella. Quanto detto è desumibile da varie n orme introdotte dalla novella.
Ai sensi dell’art. 1135 c.c., novellato, l’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonchè di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.
Così è anche in base al disposto di ulteriori disposizione previste dalla riforma del condominio.
Si veda ad esempio l’introduzione, in ambito di innovazioni ex art. 1120 c.c., della previsione che “I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti…”
Così si esprima anche l’art. 1122 c.c., rubricato “Opere su parti di proprietà o uso individuale”, il cui testo è il seguente: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilita`, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.”

Lo stesso si dica per l’art. 1122-bis c.c. “Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili”: se l’installazione degli impianti contemplati dalla norma richiede la necessità di modificare le parti comuni, l’assemblea è legittimata a prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell’articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della sicurezza dell’edificio oltre alla salvaguardia della stabilità del medesimo e del suo del decoro architettonico
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LINK IL RECEPIMENTO DELLA GIURISPRUDENZA NEL TESTO DELLA NOVELLA
Il presente lavoro intende evidenziare periodicamente gli argomenti che sono il risultato del recepimento da parte della novella della precedente giurisprudenza, evidenziando quando si ha la perfetta sintonia della norma rispetto alle decisioni e i casi in cui se ne discosta, ponendo l’accento sulle differenze del testo normativo e sulle conseguenze che ne derivano.
Parecchi sono i temi introdotti dalla riforma del condominio in recepimento degli orientamenti della giurisprudenza. Si pensi all’evoluzione del riconoscimento della struttura del condominio, non più solo considerato come condominio verticale ma anche come fattispecie orizzontale, quali le villette a schiera, e come struttura complessa di più edifici, quale il supercondominio. Si pensi alla qualificazione normativa del multiproprietario dell’alloggio in condominio quale condomino a tutti gli effetti.
Le osservazioni della Dottrina in merito alla figura dell’amministratore, ai suoi compiti e alle varie fattispecie di nomina e revoca hanno fatto in modo che il legislatore della novella modificasse radicalmente gli artt. 1129, 1130 e introducesse nuove disposizioni, quali ad esempio, l’art. 1130bis c.c in tema di rendicontazione del condominio e prevedesse l’istituzione del registro degli amministratori.
Lo stesso dicasi per i requisiti prescritti in capo all’amministratore. Questo argomento è stato oggetto di vari interventi e modifiche nel corso dell’elaborazione del testo della riforma del Condomiino. Inizialmente era prevista l’iscrizione in un apposito registro tenuto da un ente pubblico, Agenzie dell’Entrate e poi Camera di Commercio, con la finalità di rendere pubblici i dati concernenti le singole persone che svolgono questa attività. La versione finale ha manutenuto i requisiti per l’esercizio della gestione condominiale, senza più la previsione di iscrizione in un registro pubblico. Questa è una delle materie in cui si è sentito maggiormente, e da tempo, la necessità di intervenire sia in ambito della professionalità dell’amministratore, sia per la sua onorabilità, in ragione del rapporto fiduciario che lo lega ai vari edifici dal medesimo amministrati. Le normative speciali che richiedono sempre più interventi dell’amministratore, le attribuzioni derivanti dalle norma codicistiche, l’evoluzione della giurisprudenza hanno evidenziato e sottolineato non solo l’opportunità ma la reale necessità di una certa conoscenza giuridica tecnica di base del soggetto nominato a rappresentare e amministrare il condominio.
I temi nuovi che non paiono avere un precedente supporto né della Dottrina né della Giurisprudenza sono rappresentati dagli interventi di utilità sociale, quali i temi di rimozione delle barriere architettoniche, di risparmio energetico, delle deliberazioni istitutive dei sistemi di videosorveglianza (art. 1122bis c.c.), di modifica delle destinazioni d’uso delle parti comuni (art. 1117ter c.c.) nonché l’introduzione di nuove maggioranze sia in termini generali, con la modifica dell’art. 1136 c.c., sia in termini particolari, in ragione dei singoli istituti via via introdotti o modificati.