Cosa succede se un’impresa debitrice del condominio in forza di un contratto dalla stessa stipulato viene cancellata dal Registro Imprese? Chi ne risponde? Fonte: https://www.condominioweb.com/cosa-succede-se-unimpresa-debitrice-in-forza-di-un-contratto.19515

Appalto e cancellazione della società debitrice del condominio dal registro imprese: la vicenda

L’impresa appaltatrice ottiene decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo contro il condominio per il pagamento della somma di € 26.772,43, oltre interessi legali, quale saldo prezzo per l’esecuzione del contratto di appalto, stipulato tra le parti, avente ad oggetto lavori di ristrutturazione del Condominio.

Il Condominio ingiunto si oppose, eccepì che i lavori presentavano vizi e non erano stati eseguiti a regola d’arte e propose domanda riconvenzionale di risarcimento del danno; chiese, inoltre, l’autorizzazione alla chiamata in causa del direttore dei lavori e la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.

Si costituì l’impresa opposta, chiedendo preliminarmente, in relazione alla domanda riconvenzionale, l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia di assicurazione, per essere manlevata e, nel merito, chiese il rigetto dell’opposizione.

Il giudice di primo grado sospese la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e rigettò la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa sia del direttore dei lavori che della compagnia assicurativa.

Nelle more del giudizio l’appaltatrice fu cancellata dal registro delle imprese e il Condominio riassunse il giudizio nei confronti dei signori ex soci della società cancellata, nonché del liquidatore della società.

La responsabilità penale dell’amministratore di condominio

I convenuti in riassunzione non si costituirono e furono dichiarati contumaci.

Espletata la CTU, il Tribunale revocò il decreto ingiuntivo opposto e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, condannò gli ex soci dell’impresa appaltatrice al pagamento, ciascuno in proporzione alla quota societaria posseduta, della somma di € 46.101,95, oltre interessi e spese legali, precisando nella motivazione che “non essendo dimostrato se e quanto i soci abbiano riscosso in base al bilancio di liquidazione, la questione relativa al limite previsto dal citato articolo 2945 potrà essere valutata in sede di esecuzione”.

La sentenza emessa dal Tribunale di Napoli è stata impugnata.

La Corte di Appello ha trattenuto la causa in decisione, previa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

L’appellante lamenta, con il primo motivo di gravame, una violazione di legge, per omessa e/o carenza di motivazione dell’ordinanza, nella parte in cui il primo giudice non ha autorizzato la chiamata in causa della l’ Assicurazione, che avrebbe potuto tenere indenne la società opposta e chiede l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia di assicurazione e la rimessione della causa al primo giudice “per la trattazione del giudizio in contraddittorio con la società terza chiamata in causa”.

Con il secondo motivo di gravame, l’appellante deduce l’omessa valutazione e/o erronea interpretazione delle risultanze istruttorie in atti, per non avere il primo giudice rilevato che il patrimonio netto di liquidazione dell’impresa appaltatrice era negativo, quindi nessuna somma sarebbe stata distribuita ai soci, la cui responsabilità è limitata, ai sensi dell’art. 2495 c.c., a quanto effettivamente riscosso in sede di liquidazione.

Pertanto, in assenza del presupposto della distribuzione di attivo in capo ai soci non sussisterebbe neanche l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. da parte del Condominio, che non avrebbe potuto formulare la domanda riconvenzionale.

Costituitosi, il Condominio ha chiesto il rigetto dell’appello, eccependo la tardività della doglianza contenuta nel primo motivo di gravame, in quanto l’appellante avrebbe dovuto chiedere la revoca dell’ordinanza in primo grado, ove è rimasta, invece, contumace.

Ha eccepito, inoltre, la tardività della produzione della copia del bilancio, prodotta per la prima volta in grado di appello.

Sostiene l’appellato, infine, che l’effettiva liquidazione dell’attivo non possa ritenersi un presupposto per l’assunzione, in capo al socio, della sua legittimazione passiva ai fini della prosecuzione del processo ex art. 110 c.p.c.

L’interesse ad agire del creditore, sussiste, infatti, anche quando non siano state distribuite somme ai soci a seguito della liquidazione, poiché vi è la possibilità che esistano beni non contemplati nel bilancio conclusivo.

Il giudizio della Corte di Appello

La Corte ritiene che l’appello è infondato e va rigettato.

L’ordinanza di reiezione dell’istanza di chiamata in causa della compagnia di assicurazione, da parte della società appaltatrice, al fine di essere manlevata, implicando valutazioni discrezionali di opportunità processuale circa lo svolgimento del simultaneus processus tra cause scindibili, non è censurabile in sede di impugnazione.

Come ha recentemente ribadito la Suprema Corte, difatti, “il provvedimento del giudice di merito che concede o nega l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell’art. 106 c.p.c., coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione” (cfr. Cass. n. 2331/2022).

Dunque il primo motivo di gravame va disatteso.

Anche il secondo motivo di appello è infondato.

Cancellazione della società dal registro imprese: la disciplina

L’art. 2495 co 2 c.c. stabilisce che nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti la cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese, non determina l’estinzione delle obbligazioni facenti capo alla società, ma il trasferimento delle stesse in capo ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Sostanzialmente si determina un fenomeno successorio, per cui i soci rispondono dei debiti sociali, si potrebbe dire, “intra vires” cioè nei limiti di quanto “ereditano” e quindi ricevuto in seguito al bilancio di liquidazione.

La Suprema Corte ha precisato, in tema di riparto dell’onere della prova che “grava sul creditore l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio.” (cfr Cass. n. 15474/2017).

Sulla scorta di tale principio e, comunque, sul mancato rilevo da parte del primo giudice dell’assenza di distribuzione di somme tra i soci, per essere il bilancio di liquidazione in passivo, l’appellante Negrini ha eccepito, il difetto di interesse ex art. 100 c.p.c. del Condominio.

Invero la circostanza che i soci abbiano o meno percepito somme residue all’esito del bilancio di liquidazione non attiene alla titolarità dei rapporti di debito/credito facenti capo alla dante causa società cancellata, poiché il fenomeno successorio si determina a prescindere dall’avere i soci percepito o meno somme in virtù del bilancio di liquidazione.

Tale evenienza, difatti, attiene piuttosto alla responsabilità -ed ai suoi limiti- degli ex soci nei confronti dei creditori insoddisfatti, come ha sottolineato il primo giudice in un passaggio della motivazione.

Se così non fosse si determinerebbe la vanificazione del diritto di credito del creditore insoddisfatto e la elusione del principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Riporta poi un caso estremo.

Potrebbe difatti accadere che il creditore, non avendo gli ex soci, allorquando egli agisce, percepito somme dal bilancio di liquidazione, si veda reietta la propria domanda, con conseguente consumazione della relativa azione, e tuttavia potrebbe accadere che successivamente i soci -magari in seguito al vittorioso esperimento di un’azione contro debitori della società-, abbiano percepito dei crediti sopravvenuti, che resterebbero sottratti all’azione del creditore sociale insoddisfatto, che si era visto in precedenza negare il proprio diritto sulla scorta della mancata percezione di somme da parte dei soci. La problematica è stata di recente affrontata dalla Suprema Corte in relazione ad una vicenda tributaria, affermando il principio sopra richiamato, circa la successione degli ex soci alla società cancellata, indipendentemente dalla riscossione di somme: “In tema di contenzioso tributario, a seguito di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, alla definitiva estinzione dell’ente consegue la successione degli ex soci nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione; ne consegue l’interesse dell’Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo nei confronti di quest’ultimi, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio. (Fattispecie in tema di ricavi occultati, non rilevabili documentalmente, ritenuti dalla S.C. presuntivamente distribuiti a favore dei soci).” (cfr. Cass. n. 2/2022).

La Corte ha evidenziato la sussistenza di un concreto interesse del creditore che agisce nei confronti degli ex soci, rappresentato dalla necessità di procurarsi un titolo, da spendere anche futuro, laddove i soci dovessero conseguire sopravvenienze attive.

I principi affermati dalla Suprema Corte in tema di contenzioso tributario sono, ad avviso di questa Corte, valevoli in relazione a qualsiasi obbligazione e qualsiasi creditore, non essendovi ragioni di ordine né logico né giuridico per ritenere che in relazione ad altri e diversi rapporti di debito/credito il creditore sociale insoddisfatto non abbia un interesse a procurarsi un titolo da porre in esecuzione, allorquando ai soci sopravvengano attivi da distribuire.

Resta ovviamente ferma sia la limitazione di responsabilità, fissata dall’art. 2495 II co c.c., degli ex soci, nei limiti di quanto da essi effettivamente riscosso, sia il criterio di riparto dell’onere della prova, per cui sarà il creditore procedente che dovrà dare la prova delle somme riscosse dagli ex soci.

In conclusione è condivisibile la condanna degli ex soci al pagamento della somma vantata dal Condominio “in proporzione alla quota posseduta”, con la specificazione, riportata nella parte motiva della sentenza di primo grado della limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2495 II co c.c., con la precisazione che detta limitazione va fatta valere in sede esecutiva. Ne consegue che l’appello va rigettato.