Nella vertenza in esame si discute sulla natura delle canne fumarie, su come debba essere intesa la “normale tollerabilità” ex art. 844 c.c. e sulla necessità o meno del rispetto delle distanze legali nella loro collocazione ex art. 907 c.c. e sull’eventuale violazione di luci e vedute altrui
La Suprema Corte asserisce il seguente principio: “la canna fumaria non è una costruzione ma un semplice accessorio di un impianto e qui di non trova applicazione l’art. 907 c.c.: … Si tratta in sostanza di semplici tubi in materiale metallico”, richiamando il precedente della Sezione Seconda, n. 2741 del 23 febbraio 2012
Stante questa definizione, la Cassazione ritiene che non si possa neppure parlare di violazione di luci e vedute: la canna fumaria non è una costruzione; sono semplici tubi in metallo, come tali non lesivi di diritti altrui
Nel caso di specie viene altresì affermato che il tema della “normale tollerabilità” ex art., 844 c.c. non può essere affrontato in sede di legittimità, quando ha formato oggetto di una corretta valutazione da parte dei Giudici di merito, soprattutto alla luce della comparazione e del contemperamento nel caso concreto degli interessi della proprietà privata, da un lato, e degli interessi della produzione, dall’altro
Nella vicenda dispecie della Cass. 10318/2016, la relazione peritale evidenziava in modo preciso e puntuale ilrispetto dello specifico piano regolatore sotto il profilo dei fumi, escludendoquindi rischi di danno alla proprietà limitrofa. Con ciò la Suprema Corte haritenuto essere stato rispettato il principio dettato dall’art. 844 c.c. con laverifica del confine della tollerabilità dell’uomo medio
Per quanto riguarda l’asserito mancato rispetto delle distanze legali, nello specifico gli artt. 869 e 873 c.c., avendo costruito in aderenza non si può parlare di distanze legali. In questo senso l’aver costruito in aderenza ha fatto venire meno ogni lamentato danno. Peraltro la prova del danno è mancata nel caso di specie da parte del condomino che ne asseriva la sussistenza
Quanto sin qui detto concerne la vicenda della decisione in commento
Analizzando la giurisprudenza sul tema si osserva quanto segue
La recente decisione del Supremo Collegio (Cass. 26 maggio 2015 n. 10814) ha applicato alla canna fumaria le norme sulle distanze legali affermando che, nel caso di specie, si tiene conto del regolamento di igiene del comune che stabilisce che “…lo sbocco dei fumaioli dovrà elevarsi almeno di un metro sul tetto della casa più alta vicina al momento della costruzione del camino stesso”.
Alla luce di detta norma regolamentare è stata considerata pienamente integrata la norma dell’art. 890 c.c. , con l’individuazione di una distanza “verticale, pertanto, non residuava alcun potere di accertamento al giudice”. In termini pratici, è stato constatato che, nel momento in cui le norme locali stabiliscono le distanze dal fondo vicino nel rispetto delle quali devono essere costruiti i comignoli, risulta pienamente integrata la disciplina prevista in tema di distanze legali dall’art. 890 c.c..
Ci si può chiedere, seguendo questo ultimo orientamento, come ci si debba comportare nel caso in cui non vi sia la norma locale di riferimento
Sebbene il dettato sia da una sentenza di merito (Trib. Bari 16.6.2014),
si osserva che quando in materia condominiale sorge un contrasto fra le norme
sulle distanze e quelle relative all’uso della cosa comune le seconde
prevalgono sulle prime (Cass. Civ. sez. II, 1.12.2000 n. 15394: Cass. Civ. sez.
III, 23.1.1995 n. 724). Nella fattispecie sottoposta a questo Giudice, stante
il principio dell’applicazione alla canna fumaria della disciplina prevista
dall’art. 890 c.c. (i cui limiti sono quelli previsti dai regolamenti locali),
ove non vi siano norme regolamentari locali, l’installazione della canna
fumaria deve preservare il fondo del vicino da danni alla “solidità, salubrità e sicurezza” (Cass.
Civ. sez. II, 6.3.2002 n. 3199; Cass. Civ., sez. II 22.10.2009 n. 22389).
Sempre in tema di canna fumaria, occorre ricordare il necessario rispetto dell’art.
1102 c.c. “l’appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche
l’apertura di piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un
edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla
destinazione della stessa, che ciascun condomino – pertanto – può apportare a
sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi
pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il
decoro architettonico”
(Cass. civ. sent. n. 6341 del 16.5.2000)”.
L’installazione della canna fumaria è fattibile a condizione che non
venga leso il decoro architettonico dell’edificio (Tribunale di Campobasso del
24 settembre 2014, n. 715, Cass. civ. n. 10453 del 1.8.2001; Cass. civ. n. 2741
del 23.2.2012; Cass. civ. n. 18350 del
31.7.2013), principio che occorre tenere a mente e rispettare in ogni
situazione, anche quando il condomino effettua interventi nella sua singola
proprietà ex art. 1122 c.c.
Il discorso cambia nel caso di canna fumaria di non trascurabili dimensioni
In simili fattispecie i condomini possono opporsi, anche in via cautelare, alla sua collocazione da parte del singolo non solo quando viene leso il decoro architettonico ma anche quando viene posto in pericolo il pari diritto d’uso del bene comune “… il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condomini ed in loro pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima (Cass. 26 gennaio 2000 n. 855; Cass. 11 marzo 1993 n. 2947; Cass. 21 luglio 1988 n. 4733; Cass. 18 luglio 1984 n. 4195). La modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all’esperimento dell’azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l’edificio si articola (Cass. 13 luglio 1993 n. 7691)”. (Cass. 24.08.2015, n. 17072)
Nel caso concreto della Suprema Corte, con la sentenza resa in data 24.08.2015, n. 17072, si è accertato, con apprezzamento non censurabile in cassazione, che la canna fumaria, oltre a avere grosse dimensioni era allocata in una sovrastruttura apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di qualsiasi pregio architettonico o funzionale in relazione alla parete esterna dell’edificio
Questa costruzione –qui si può parlare di costruzione, diversamente dalla sentenza in commento- alterava parecchio l’estetica dell’edificio, necessitando anche di manutenzione; la sua collocazione e la sua grandezza facevano in modo di ledere il diritto alla luce della finestra vicina.
Le osservazioni della Suprema Corte (Cass. 17072.2015) sono le seguenti: “… l’uso particolare che il comproprietario faccia del bene comune non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell’area, a condizione però che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del bene medesimo un analogo uso particolare (cfr. Cass. 20 agosto 2002 n. 12262; Cass. 17 maggio 1997 n. 4394). La sentenza impugnata da conto proprio della inesistenza di tale condizione ed in particolare della alterazione della destinazione naturale dell’area occupata con la struttura contenente la canna fumaria e per tale ragione ha ritenuto commettere molestia la società che aveva immutato lo stato di fatto degradando gravemente l’estetica dell’edificio ed alterando precedenti facoltà di utilizzazione da parte degli altri condomini, in particolare dei resistenti. Del resto le denotate modalità (obiettive) dell’aggressione possessoria disvelavano, a chiare note, la sussistenza, in capo alla ricorrente del c.d. animus turbandi il quale, come è dato ormai acquisito, consiste nella volontarietà del fatto compiuto a detrimento dell’altrui possesso, contro il divieto espresso anche solo presunto del possessore e si profila, in linea di massima, tutte le volte che in concreto si colgono gli estremi della turbativa, rendendosi normalmente irrilevante l’eventuale convinzione dell’autore di questa di esercitare propri diritti (cfr Cass. n. 8829 del 1997; Cass. n. 22414 del 2004). Né risultano dimostrati nella specie gli argomenti esposti, quali l’impossibilità di una diversa collocazione della canna fumaria, oltre alla necessità ed urgenza di detta collocazione”